Angelo Abis- “I sardi a Salò”
(Edizioni Doramarkus 2009- pag. 183- euro 15,00)
I sardi nella Repubblica sociale italiana.
Lo studioso Angelo Abis, che da anni si dedica a un’attività di ricerca volta a ricostruire il ruolo della Sardegna nella seconda guerra mondiale e negli avvenimenti che avvennero dopo l’armistizio del 1943 e la fine della guerra nel 1945, nel suo saggio “L’ultima frontiera dell’onore. “I Sardi a Salò” (€uro 15,00 p. 183) pubblicato dall’Edizioni Doramarkus, con la prefazione dello storico Giuseppe Parlato, analizza una pagina inedita e trascurata della storia italiana: la partecipazione dei sardi alla Repubblica sociale italiana. La Sardegna, infatti, ebbe un ruolo marginale nelle vicende del ’43 e del ’45: si trovava fuori dall’area d’interesse riguardante lo sbarco continentale che gli Alleati effettuarono a Salerno l’8 settembre 1943; completamente estranea alla guerra civile, perché non fu soggetta alla divisione fra nord e sud che riguardò, invece, il continente. Sotto il governo del Regno del Sud, la Sardegna non visse le vicende della guerra partigiana, del fascismo repubblicano e della guerra civile. Le cose andarono diversamente per i 60-70.000 sardi sotto le armi: una parte era rinchiusa nei campi di concentramento alleati e russi, in condizioni disagiate, in particolare per coloro che erano detenuti nei campi russi e nei criminal fascist camps, riservati, dopo l’8 settembre, ai “non collaboratori”. La maggior parte di loro ritornò in Sardegna nel 1946, e alcuni addirittura nel 1950. Nei giorni successivi all’armistizio, il resto dei militari si ritrovò allo sbando nella penisola e negli stati di mezza Europa, in particolare nei Balcani. Coloro che non finirono nei lager tedeschi, dovettero scegliere se darsi alla macchia o aderire alla Rsi. Il saggio, frutto di un’ analisi rigorosa fondata sull’esame incrociato di fonti orali (testimonianze di familiari e testimoni) e fonti cartacee (libri, opuscoli, documenti), mette in evidenza come questa partecipazione fu rilevante, poiché furono circa diecimila i sardi che aderirono alla Repubblica di Salò, il doppio, rispetto a quelli che parteciparono alla Resistenza, a cui si possono aggiungere il migliaio di civili che si trovavano al Nord nell’apparato dello Stato a collaborare con il governo repubblicano. Ciò che colpisce particolarmente, non è solo l’aspetto quantitativo di quest’ adesione, ma, soprattutto, l’aspetto qualitativo: numerosi sono, infatti, gli esponenti sardi di rilievo del mondo culturale, politico, sindacale e militare. Spiccano tra i politici le figure di Francesco Maria Barracu, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio della Rsi, fucilato a Dongo e Edgardo Sulis, che a Salò ricopriva l’incarico di capo dell’ufficio stampa del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e di responsabile della propaganda per le province invase, ideatore, nel marzo 1945, insieme a Ottavio Dinale, di un “Gruppo rivoluzionario repubblicano”, un movimento politico, non di opposizione, ma di stimolo e pungolo al governo della Rsi e che fu autorizzato dal Duce. Emerge fra gli intellettuali, il giornalista Stanis Ruinas, che fonderà nel secondo dopoguerra il periodico “Pensiero Nazionale” dove formulerà l’idea di una possibile alleanza tra fascisti di sinistra e comunisti in opposizione all’imperialismo americano, ottenendo finanziamenti dal PCI di Togliatti, da Aldo Moro, da Enrico Mattei e dai Leaders arabi Nasser e Gheddafi per il suo atteggiamento ostile nei confronti delle cosiddette “sette sorelle” petrolifere. I sindacalisti sono rappresentati, fra gli altri, da Ugo Manunta, un importante sindacalista del ventennio e uno dei fautori della socializzazione nella Rsi. Numerosi i militari, come il generale Gioacchino Solinas, comandante della divisione “Granatieri di Sardegna”, uno dei pochi generali che dopo l’8 settembre non fugge, ma affronta i tedeschi che vogliono occupare Roma, procurandogli non poche difficoltà. Nella Rsi è prima comandante della regione militare Lombardia, in seguito del CENTRO ADDESTRAMENTO GRANDI UNITA’ di Vercelli. Una particolare peculiarità, poi, riguarda i motivi che spinsero i sardi a schierarsi con il fascismo repubblicano: oltre a quelli comuni a coloro che fecero quella scelta (l’onore, il rifiuto delle condizioni che portarono all’armistizio, la fedeltà ai principi del fascismo, la fedeltà all’alleato), due sono le ragioni che motivarono fortemente l’adesione: l’idea della rivoluzione sociale e l’ideale dell’autonomia sarda che, già presenti nel sardofascismo nato nel 1923 con una scissione dal partito sardo d’Azione, riuniva in sé autonomismo, sensibilità sociale e spinte rivoluzionarie nel contesto di un leale riferimento al fascismo. Era quindi logica la ripresa di queste idee, poiché la Rsi per molti fascisti fu un estremo tentativo di realizzare ciò che il regime non aveva potuto o voluto fare.
Il saggio dimostra una particolare originalità perché, come sottolinea Giuseppe Parlato nella prefazione, fino agli anni Novanta, la storiografia sul fascismo si è concentrata sui fatti nazionali, considerati come un fenomeno centrale. Abis, invece, partendo dalla storia locale, dimostra come il fascismo ebbe manifestazioni molto diverse e particolari nelle diverse regioni italiane; più precisamente, il sardofascismo, autonomista, generato dall’esperienza della trincea della prima guerra mondiale e dalla energica identità regionale, si distingue dai fascismi nati in Toscana, a Roma o a Milano. Ricostruire il mosaico delle storie locali, secondo Parlato, potrebbe, in futuro, portare a ricostruire la storia della Rsi senza preconcetti di alcun genere.
Claudio Ozella
Pubblicato il 2014-07-28 11:33:46.
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