(Galleria del Ponte – Corso Moncalieri 3, Torino: dal 21 settembre al 12 novembre 2011)
Orario: da martedì a sabato 10-12,30 e 16-19,30
Una quarantina di opere di Mario Lattes a dieci anni dalla sua scomparsa, per ripercorrere un’avventura artistica poliedrica che abbraccia cinquant’anni di attività pittorica. È la mostra antologica “Mario Lattes. Frammenti d’identità”, dedicata ai lavori del pittore, alcuni raramente esposti, che inaugura mercoledì 21 settembre 2011 alla Galleria del Ponte di Torino nella sede di corso Moncalieri n. 3.
L’esposizione è organizzata dalla Fondazione Bottari Lattes in collaborazione con la Galleria del Ponte ed è curata da Vincenzo Gatti e dal gallerista Stefano Testa.
Si tratta di un Percorso espositivo cronologico, che parte dagli anni Cinquanta per arrivare agli anni Novanta e documenta i diversi modi espressivi e i numerosi interessi del pittore Mario Lattes. La mostra prosegue fino a sabato 12 novembre 2011, secondo il seguente orario: da martedì a sabato 10-12,30 e 16-19,30 (altri orari su appuntamento).
Autore raffinato e capace di dare vita a immagini oniriche, Mario Lattes ha sperimentato tecniche e linguaggi eterogenei con i quali ha espresso il dolore dell’esistenza e la propria rivendicazione di libertà da ogni pregiudizio. La sua opera racchiude momenti d’ispirazione ora astratta ora espressionista, ora visionaria, per approdare a suggestioni visive, senza mai essere imprigionata in categorie o movimenti. Dagli oli su tela o su carta, alla grafica, fino agli acquerelli, tempera e tecniche miste, la produzione pittorica di Lattes si distingue anche per i temi affrontati: le contraddizioni della vita, il dolore e le difficoltà nella quotidianità, le memorie e la consapevolezza della propria frammentata identità, la ribellione alle idee preconfezionate, alla volgarità delle mode. Le opere esposte appartengono agli eredi di Mario Lattes e sono custodite presso la Fondazione Mario Lattes di Torino, istituita nel 2005.
La sua scrittura e la sua pittura raffigurano prevalentemente degli interni. Inutile cercare di indovinare l’ora e la stagione. La luce esterna è come inghiottita dal buco nero della raffigurazione. È diventata un’entità neutra, diffusa ma vagamente opaca, artificiale, senza strappi né tagli, come negli obitori all’alba. Sciamano di sé stesso, Lattes sa anche troppo bene che la partita si gioca lì, nel luogo (parola che detesta) dell’assenza, della paura, del conflitto, della non-comunicazione, della non relazione, dell’oscurità. Una partita che non è in grado di vincere. (Ernesto Ferrero, presentazione mostra, Fondazione Bottari Lattes, Monforte d’Alba, 2010).
Il pennello di Lattes, la cui mente è di implacabile razionalità, segue gli impulsi, le emozioni, gli abbandoni di una irrimediabile inquietudine. Per rappresentare questa condizione basta a Lattes non muoversi dal suo studio, dalle atmosfere dove si consuma, con il sapore di un lento veleno, la vita. (Vittorio Sgarbi, presentazione mostra, Galleria Don Chisciotte, Roma, 1988).
Lattes rimane, tuttavia, un pittore isolato, particolare. Ciò è dovuto alla formazione culturale, alle ragioni esistenziali, alla privata etica. Tutto questo – è positivo poterlo sottolineare – ha un riscontro fedele nel suo lavoro. Basta una lettura attenta di queste ustioni, di questi strappi, delle piaghe, delle pressioni, delle nere nuvole e delle nebbie, dei bianchi evocati, delle fantasmiche apparizioni ambigue, la struggente mestizia nelle immagini quotidiane, il senso tragico nel ricalco dei merletti (come brandelli di sudari ricuperati da umide sepolture), le geologie dei reperti fossili e delle rocce, le impronte, la cenere, le presenze allucinate di animali simbolici, le figure ieratiche (quasi simulacri di riti oscuri di magia) dei santi, basta saper leggere tutto questo, dico, per penetrare nel profondo segreto di quella solitudine, di quel silenzio intimo che è il messaggio etico di Mario Lattes. (Renzo Margonari, presentazione mostra, Galleria Mutina, Modena, 1972).
Parlando di strada percorsa, bisogna chiarire che quella scelta da Lattes, benchéabbia tutta l’aria di puntare laggiù, nello sprofondo, nell’inferno della condizione umana, risulta poi sempre in salita. Come dire che più l’artista si cala nei recessi tenebrosi della coscienza e della memoria, più ce lo sentiamo accanto su questa crosta terrestre, dove riporta alla luce reperti di buone dimensioni e chiaramente leggibili. In essi è ridescritta favolosamente una realtà che altrimenti, nei suoi dati intrinseci, risulterebbe già logora.(Libero Bigiaretti, presentazione mostra, Galleria Don Chisciotte, Roma, 1965).
La sua immaginazione non si distacca dalle cose, cioè dall’ordine delle cose come stanno dentro una certa relazione dello spazio e del tempo immaginativi, né si distacca dal significato ammonitorio degli avvenimenti, giacché la storia avverte che continuano a essere cadenza obbligata dell’esperienza dell’uomo; ma l’attività del pittore è poi del tutto libera quando ripropone l’esistenza degli oggetti e degli avvenimenti e li fa veri, di nuovo e in assoluto, nelle misure e nelle forme di una lenta volenterosa riconquista. (Luigi Carluccio, presentazione mostra, Galleria Galatea, Torino, 1960).
Mario Lattes (Torino 1923-2001), pittore, scrittore ed editore, ha compiuto le prime esperienze nei campi dell’arte e della cultura nel capoluogo piemontese. La sua pittura, dopo un iniziale periodo informale, è sempre stata figurativa, con valenze visionarie e fantastiche, tale da evocare illustri discendenze, da Gustave Moreau a Odilon Redon a James Ensor. La pittura, le incisioni e i romanzi sono legati da un forte filo di comunanza, talvolta anche nella scelta di soggetti identici, trasfigurati dalla diversità dei mezzi espressivi. Ebreo laico, uomo solitario e complesso, la sua arte risente delle vicende e della psicologia di questo popolo: umorismo amaro e sarcastico, pessimismo e lontananza. Torino, però, è sempre stata la sua unica e vera città. Dopo la seconda Guerra mondiale si dedica alla casa editrice torinese Lattes, fondata nel 1893 dal nonno Simone. Del 1947 è la sua prima mostra alla galleria La Bussola di Torino, a testimonianza delle maturate esperienze artistiche. Negli anni Cinquanta allestisce personali a Torino, Roma, Milano e Firenze e partecipa con successo a due edizioni della Biennale di Venezia. Segue una regolare attività espositiva in tutta Italia. Nel 1953 fonda la rivista Galleria che dall’anno seguente, con il titolo Questioni, diventa voce influente del mondo culturale piemontese e non solo. Vi partecipano intellettuali italiani e stranieri come Nicola Abbagnano, Albino Galvano e Theodor Adorno. Tra il 1959 e il 1985 pubblica diversi di romanzi, tra cui: La stanza dei giochi (Editrice Ceschina, 1959), Il borghese di ventura (Einaudi, 1975), L’incendio del Regio (Einaudi, 1976), L’amore è niente (Editore La Rosa, 1985).
Mario T. Barbero
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Catalogo della mostra a cura di Bruno Quaranta
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Pubblicato il 2011-09-19 03:28:16.
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