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In mostra alla GAM di Torino dal 16 dicembre 2011 all’11 marzo 2012
SARONI: decifrare l’invisibile
A cura di Riccardo Passoni
Sergio Saroni scheda:
Soldato con stendardo (1962): è il momento in cui Saroni “isola il fantasma da sé”, come subito decifrò Paolo Fossati, presentandolo a La Spezia nel ’63, ovvero nel momento del trapasso del giovane artista dai risultati informali verso nuove esperienze. Il dato storico del soldato in divisa si sfalda in un’immagine in cui la ricercata sensazione del rosso-colore viene progressivamente sopraffatta da un incursione grafica nuova, affiorante, in particolare, sul bordo inferiore del cartoncino. In questa recentissima donazione, voluta dalla famiglia (Anna Maria Scassa, Giovanna Saroni, e Maria Luisa Addario) per ricordare Sergio Saroni nel ventennale della scomparsa, sono comunque le acqueforti e acquetinte a proporsi come testimonianza cospicua di una ‘operatività’ che sappiamo essere stata davvero centrale, e non ancillare, nella sua produzione artistica, come ben ha chiarito in più di una circostanza Pino Mantovani.
Uccelli impigliati e mosche e Le mele (Le tre pere) ci conducono già al 1967-68: composte a più colori, sono già riferibili al pieno del precipitare della ricerca saroniana nei territori della grafica. Saroni si è già lasciato alle spalle il momento – sorprendente e fondativo – degli “Studi da Grünewald” (1964-65). Una scelta ‘irregolare’, per quei tempi e non solo, che contiene già una dichiarazione di percorso che si è voluto intraprendere: pervenire ad un segno per certi versi spigoloso, acuminato, irto, senza intenzioni di conciliazione col magma – per quanto pensato – della stesura pittorica degli anni informali, con le forze del colore e della materia, del suo primo tempo. È la ricerca di una forma di concentrazione nuova, quella cui il pittore approda, disposto ora a ripensarsi completamente rispetto alla già codificata riconoscibilità ottenuta negli anni giovanili. Attraverso lavori come questi ci si avvede che è stata avviata una vera e propria impresa di “desaturazione” della pagina dipinta, rappresentata da risultati che non raccomandano più una possibile urgenza di espressione, mai comunque calcata veramente da Saroni. Ci si volse piuttosto verso una sospensione, un raffreddamento della lettura della sostanza delle cose per suggerire una nuova analiticità, provare a misurarsi con un nuovo orizzonte di riferimenti.
In questi anni, e per alcuni dei successivi, vediamo Saroni proporre un segno intricato, oppure, quasi per opposizione, ripulito, e le sue incisioni contengono entrambe le informazioni: con calcolata distanza ed equilibrio dei pesi, come accade nei frutti che contrappuntano il rovo in Le mele. O con impertinente sovrapponibilità, come nel groviglio naturale che rabesca al centro de Donne in bagno (1970), mentre sono chiari i dettagli delle anatomie femminili e dell’amato sfondo del monte dei Cappuccini. La nuova narrazione grafica che seduce l’artista sembra proprio questa ossificazione dello strumento segnico, con necessità descrittiva, ma anche di ricerca analitica, su di uno schema binario; viene adottata almeno sino al 1974, e non di rado tende ad intrecciare più piani di lettura, a ricomporre simultaneamente diversi spezzoni di visione e racconto, come puntualmente accade in Velosolex (1970).
C’è naturalmente qualcosa di più, che sembra tentare Saroni: una scommessa, forse, consistente nel tentativo di conciliare toni delicati, tinte morbide e mediterranee – cui non sembra si possa più rinunciare – con uno schema di descrittività ancora ‘nordico’, mentre si vuole interpretare il reale (?), ancorché frammentato, o si sosta nuovamente sul tema antichissimo della natura morta.
Questa attitudine, questa ricerca di sintesi degli opposti, sembra d’ora in avanti costituire un punto d’approdo nella ricerca grafica di Saroni; anche se saprà poi sciogliersi in una più spiegata e tranquilla narrazione ‘unica’ nelle lastre ultime di questa donazione: Tralcio di vite (1984-85) e Le vigne notturne (1985), sono piccoli capolavori, tesi solo più, sembrerebbe, ad evocare un tempo particolare, una tensione apparentemente risoltasi in una intensa atmosfera interiore.
Tra le opere pervenute vi sono ancora due tempere su carta del 1972: Senza titolo, e Senza titolo (nota anche come Fiori nel blu), che ci riconducono nella fucina della ricerca del pittore. Al tempo, cioè, della prosecuzione – a margine dell’incisione – della riflessione tremite gli ‘antichi’ strumenti del dipingere. E vi si leggerà, non a caso, della trasponibilità della sua indagine sul dato della rappresentazione da un supporto all’altro; e della sua disposizione a passare da una rappresentazione su di un doppio registro – per certi versi depistante - del primo Senza titolo, ad una focalizzazione nuova della composizione su di un centro definito e chiaramente percettibile come in quei fiori bianchi che emergono da un fondale denso eppure evanescente, blu, dell’altro Senza titolo. Che sembra riecheggiare, mutati i tempi, una sensazione del colore che contrasta una distinta calligrafia, come già accadeva nella richiamata tempera del ’62, Soldato con stendardo.
Mario T. Barbero
Pubblicato il 2011-12-09 07:49:15.
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