RITORNO AL PASSATO
Con la forzata chiusura dei parrucchieri a causa del coronavirus, si sono trovati spiazzati sia donne sia uomini (sì, uomini, perché i conduttori televisivi - che ci avevano abituati a pettinature impeccabili e apparentemente “senza ritocchi” – appaiono ora con scomposti ciuffi sparati al vento e “aperture” a cuoi capelluti in passato abilmente camuffati). Entrambe le categorie hanno pertanto cercato di rimediare come potevano ai disastri delle loro acconciature.
Non so a che cosa siano ricorsi gli altri, ma personalmente, dopo aver consultato siti internet che assicuravano messe in piega casalinghe perfette e non aver avuto il coraggio, dopo ogni tentativo, di guardarmi allo specchio per ore, stavo per arrendermi di fronte al fallimento di svariate tecniche fantasiose, quando sono stata soccorsa dalla mia mania di “non buttare nulla di quanto sovvenga un ricordo”. Armatami di pazienza, ho infilato mani e testa in un vecchio baule, scoperto oggetti da tempo dimenticati, ritrovato completini di battesimo in seta ricamata risalenti a trisavoli, bisnonni, nonni, genitori e figli, finché ho finalmente agguantato quanto speravo di non aver buttato nella spazzatura in un momento di rinsavimento: eccoli lì, i BIGODINI probabilmente usati soltanto dalla mia mamma o dalle zie, proprio come li ricordavo, anche se spelacchiati e coi fermagli quasi tutti storti.
Non mi sono certa arresa e, scaldando i puntali di plastica con il phon sperando di non accentuarne la curvatura anziché raddrizzarli, ho poi affidato il reperto storico alla mia nipotina. Nipotina che, ormai da settimane, era assurta al ruolo di apprendista-parrucchiera nei miei deludenti tentativi precedenti. Già alcuni giorni prima aveva cercato di frenare la frenesia con la quale, assalita da una rabbia incontenibile e non intendendo più sopportare la frangia che si infilava sotto gli occhiali, avevo affondato le forbici nella selva ribelle e avevo tagliato una ciocca dopo l’altra, mentre la bambina esclamava, preoccupata per il mio senno vacillante: «Ma nonna, sembri quelle vedove indiane a cui tagliano i capelli quando muore il marito!»
A risollevarmi dallo sconforto provato quando avevo notato le orripilanti ciocche dalle svariate lunghezze, era dunque stato il ritrovamento dei bigodini, a cui affidavo le speranze per un intervento riparatore. Se erano sopravvissuti alla mamma e alle zie - sempre che, anche loro, non fossero state soltanto ancorate al mantenimento “dei ricordi” -, dovevano pur averle soddisfatte.
Shampoo, risciacquo, spuma “tonificante”, mantella in spugna sulle spalle, sedia davanti allo specchio grande, e via… La nipotina attenta e ligia a seguire le mie indicazioni, i puntali di plastica che affondano nel cranio, ma una messa in piega coi bigodini vale ben un po’ di sofferenza! «Tira di più, adesso molla un poco, non spingere troppo perché mi buchi il cervello, ecco, così va bene. Adesso passami il phon, ma dappertutto…» Questi i suggerimenti dati alla paziente, volenterosa nipotina speranzosa di non deludere la sua nonna.
Dopo aver trascorso almeno un’ora con i bigodini in testa, a sopportare fitte fastidiose su tutto il cranio, ho preso coraggio e mi sono accinta a “sciogliere le vele”…
Non descrivo il risultato… mi limito a riferire il commento di un’amica a cui ho mandato la fotografia di come apparivo, alla fine dell’impresa: «Complimenti per il tuo stile impero!» E da quel giorno, quando mi scrive o mi telefona, esordisce con un: «Ciao, boccolona!»
Tornando col pensiero alla reazione avuta quando ho arditamente affrontato lo specchio, ricordo che mi sono sembrata un incrocio fra Maria Antonietta d’Asburgo e il delizioso cane che qualcuno ha vilmente sottoposto alla tortura della messa in piega “da bigodini”…
Luciana Navone Nosari
Pubblicato il 2020-05-18 07:57:50.
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