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Il fenomeno sociale dei suicidi
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Analisi e fatti sociali

Il fenomeno sociale dei suicidi

 

Il fenomeno sociale del suicidio va  studiato con competenza  e non essere solo oggetto di curiosità, ma deve essere letto anche alla luce della Misericordia Divina

 

Negli studi di Emile Durkheim,  noto sociologo francese che ha analizzato il suicidio nelle sue varie forme, c’erano già  molte delle casistiche di questo fenomeno sociale tuttora  di grande attualità.

Per un’analisi dello stesso, si rimanda al suo corposo testo dal titolo “ Le Suicide “, ma in questo contesto più che fare delle classificazioni, occorre saper valutare la dinamica delle vicende che spingono  a compiere  questo gesto estremo .

Tra queste, indubbiamente, leggiamo la disperazione per una situazione economica ai limiti della sopportabilità, alla quale si aggiunge il sentimento della vergogna, quando ci si rende conto di non essere più solventi o  in grado di  garantire alla propria famiglia, una vita senza problemi.

Molte  sono le molle che scattano nelle menti di chi, ormai fragile mentalmente, pensa che l’unica soluzione sia  quella di lasciare definitivamente questo mondo,  pur nella  consapevolezza di gettare nella disperazione chi gli sta accanto.

Purtroppo diversi sono questi episodi che, pur nella loro marginalità,rischiano di essere emulati.

Sono gesti compiuti a volte per amore, altre volte per altruismo , per egoismo o per quel senso di indifferenza alle leggi (anomia) come rilevato dallo stesso Durkheim.

In simili situazioni certamente un freno, come sostiene lo stesso studioso, è da ascrivere alla religione monoteista (come quella cattolica) e , la stessa, oggi di fronte ad un simile comportamento, si rimette al Divino Creatore e alla sua misericordia.

Un atteggiamento che lo si può riscontare anche in occasione della S .Messa celebrata a Pasturo,in provincia di Lecco, dal cardinale Gianfranco Ravasi (biblista, teologo ed ebraista) in suffragio della poetessa Antonia Pozzi  che, a soli 26 anni è morta suicida, nel 1938.

(cfr. Alessandro Torno, Corriere della Sera, 16 aprile 2012).

Chi , invece, non usa lo stesso metro di giudizio spesso è proprio la carta stampata  che, a differenza degli altri mezzi di comunicazione di massa, ritorna spesso sulla notizia con commenti  e particolari, che alimentano il pettegolezzo in quelle persone ricche solo di pregiudizi.

Le giustificazioni sono note: “ devo fare il mio mestiere, il giornale lo pretende, la gente vuole sapere… “.

Già, la gente, la stessa che se hai bisogno non muove un dito e, se sei in difficoltà, ti chiude la porta in faccia, perché ognuno deve farsi i fatti suoi : “ vivi e lascia vivere “ .

Tuttavia, si tratta solo di una parte di quelle persone avvezze alla critica, ma che diventa indifferente perché tanto quello che dice l’ha letto sui giornali e non è un pensiero suo.

E i giornali ?

La filosofia per alcuni, non l’etica,  è quella di incrementare le vendite soddisfacendo, in tale modo, le pruderie di qualcuno, senza rendersi conto che quanto da loro riportato o scritto, mette solo la “ zizzania “ e acuisce la fragilità di chi vuole togliersi la vita.

Una valutazione più approfondita e non il mero utilizzo di redattori tuttologi, sarebbe il comportamento intelligente di poter offrire un servizio che sappia essere anche educativo.

Utopistico ? Fuori dalla logica del lettore ?

Forse, ma è pur sempre l’analisi corretta di un fatto sociale che dovrebbe far parte di quel bagaglio culturale di chi, pur nell’esercizio delle sue mansioni, riveste anche un ruolo di responsabilità

 

                                                                                       Renato  Celeste

 

 



Pubblicato il 2012-04-30 12:40:24.
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