C’era una volta… il compagno di banco
Sino all’autunno del 2019, le generazioni che partivano dalla mia – sono ormai nonna – per arrivare a tutte quelle successive, affrontavano con emozione ed eccitazione il primo giorno di scuola delle classi di ogni ordine e grado, fossero esse elementari, medie o superiori. E non si trattava soltanto della novità di entrare in un nuovo edificio scolastico, che comportava in primis l’incontro con le maestre o i professori, ma finanche della frenesia che le animava prima di conoscere quello che sarebbe stato il compagno o la compagna di banco. E a quell’idea, a quell’incognita, entravano in gioco batticuori, occhiate lanciate verso tutti quei giovani sconosciuti schierati davanti all’aula: ci si chiedeva chi sarebbe stato il prescelto, o la prescelta, dal Fato. Quando l’arcano veniva poi svelato, arrivavano gli sguardi di sottecchi, per cercare di valutare se “l’eletto dal Destino” - o, per meglio dire, da chissà quale valutazione dei Docenti - fosse simpatico piuttosto che taciturno o diffidente e ci si domandava quale fosse la maniera migliore per gestire il primo approccio. Iniziare forse con un sorriso, con un «ciao come ti chiami?» oppure con l’offrirgli una caramella o mostrargli il cellulare sfilato con circospezione da una tasca… e poi, via via, tentare di scoprire più cose possibili su quello sconosciuto con cui, gomito a gomito, si sarebbe condiviso un banco, per cinque o sei giorni alla settimana e per ben nove mesi! In poco tempo, se fosse stato “collaborativo”, si sarebbe saputo un po’ tutto di lui, della sua famiglia, se avesse fratelli o sorelle, quali passioni lo animassero, quali cartoni, quali film, quali cantanti o gruppi musicali fossero i suoi preferiti (a seconda del grado di scuola e dell’età). Lo si sarebbe magari conquistato provando a chiedergli, o a offrirgli, la gomma dimenticata a casa, giungendo a copiare o a fargli copiare il compito in classe, a suggerirgli una risposta, a fargli avere sotto il banco un bigliettino con una soluzione o, perché no? una frase affettuosa. Tante belle amicizie, tante prime simpatie, addirittura tanti amori sono nati fra i banchi di scuola! Ed era bello vedersi anche al di fuori delle aule scolastiche, organizzare con le mamme degli incontri, delle merende e, più avanti negli anni, delle brevi uscite per gustare un gelato, una cioccolata calda, creando occasioni per condividere finanche delle confidenze, dei piccoli segreti.
Tornato in quarantena in attesa dell’esito, arrivato regolarmente con tanto ritardo. Avendo dovuto “subire” un ulteriore, terzo isolamento non legato alla classe, non poteva però usufruire della “Didattica a distanza”, in quanto i suoi compagni frequentavano le lezioni con regolarità. Doveva pertanto affidarsi alla buona sorte, sperando che la scuola fosse in grado di allestire un collegamento con lui – qualora fosse in possesso degli strumenti tecnologici necessari – per farlo assistere alle lezioni dei più “fortunati”.
ADDIO, quindi, ai COMPAGNI DI BANCO! Eppure, e qui apro una parentesi, c’è chi sostiene che il contagio avvenga IN CASA. Su questo punto sono d’accordo, ma desidero precisare che – a meno che qualcuno sappia smentirmi con dei fatti concreti e provati – il contagio non avviene attraverso gli effluvi di appetitosi ragù o di prelibati arrosti, bensì mediante contatti con profeutto questo, la pandemia ce l’ha rubato. Il primo giorno di scuola, il settembre scorso, ha visto i bambini e i ragazzi schierarsi come soldatini ubbidienti, con le mascherine sul volto, a cercare compostamente di indovinare chi ci fosse dietro quelle coperture, individuando soltanto gli occhi, talvolta celati da occhiali che nascondevano ancor più le espressioni. Quando sono poi stati indirizzati nelle proprie classi, hanno capito subito che il “compagno di banco” non sarebbe esistito. C’erano una distanza e una mascherina che impedivano non soltanto di capire quali fossero le sembianze del compagno che stava nel banco – ben lontano – a sinistra o a destra, ma veniva loro proibito persino di prestarsi una gomma, una matita, un foglio, perché ipoteticamente “contaminati”. So di ragazzini che, spinti dal desiderio di avere comunque un contatto, di conoscere qualcosa in più dei vicini – non compagni! – di banco, sono stati puniti con una nota di biasimo sul diario per aver lanciato un bigliettino non andato nella direzione desiderata, e “pizzicato” dalla maestra.
Chi non si trovava in prima elementare ma in una classe di grado superiore, ha ricordato quanto fosse stato bello parlare con il compagno di banco, sin dal primo giorno di scuola. Era persino stato bello avere con lui dei battibecchi, delle piccole ripicche, quei «non ti faccio più amico - o amica -» che tutti rammentiamo con nostalgia e tenerezza. Né potranno più, gli scolari “della pandemia”, schermare con un quaderno o con un foglio il problema che stanno svolgendo, per impedire al compagno con cui si è bisticciato poco prima di sbirciarne la soluzione.
Ciò nondimeno, questi studenti si devono paradossalmente ritenere fortunati, perché i ragazzi – purtroppo numerosissimi – che sono stati “messi in quarantena” a causa di un insegnante o un di compagno risultato positivo, sia sintomatico sia asintomatico, sono stati privati del “privilegio” di avere dei compagni “distanziati”: come unica alternativa sono stati accompagnati, a causa della “Didattica a distanza”, da un computer o da un tablet. Pur tuttavia, c’è stato di peggio: è difatti successo che qualche scolaro posto in quarantena perché positivo asintomatico abbia contagiato un genitore, malauguratamente finito in ospedale per polmonite da Covid19, e sia stato rimesso in isolamento per una seconda volta, essendo venuto a contatto con un malato conclamato. Se poi è capitato, come purtroppo è capitato, che sia andato perso il risultato del suo tampone di controllo, ha dovuto ripetere l’operazione e ritssori o compagni DI SCUOLA a loro volta contaminati sui mezzi pubblici o a causa di comportamenti sconsiderati di chi non rispetta le regole di prevenzione.
Se mi rattrista pensare che i momenti indimenticabili del “primo giorno di scuola” vissuti da tante generazioni non possano aver fatto parte dei ricordi dell’inizio di questo ultimo anno scolastico, mi conforta invece credere che ci possano essere altre “prime volte a scuola” che ridonino il piacere e l’emozione di scoprire chi sarà il compagno o la compagna di banco, quando usciremo dall’incubo provocato da questo insidioso, pericolosissimo virus. E ne dovremo uscire!
Non voglio quindi farmi sopraffare dallo sconforto e adornarmi di un’aureola di ottimismo, auspicando che questa dura esperienza possa perlomeno insegnare non soltanto agli studenti ma a tutti noi, sia che siamo genitori, fratelli, zii o nonni, ad apprezzare anche il più piccolo dono che ci viene fatto ogni giorno: quando il sole si leva, quando i suoi raggi escono vittoriosi dalle nubi, o quando pian piano si appresta ad andare a dormire dietro le vette delle montagne o al di là dell’orizzonte marino. E questo perché, nonostante tutto e a dispetto del Coronavirus, siamo ancora vivi, e pronti ad attingere dalle prove più gravose un gioioso, trionfale inno alla VITA!
Luciana Navone Nosari
Pubblicato il 2020-11-16 22:23:16.
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