Chiacchiere da… bar!
Se fossi vissuta ai tempi di Dante, sarei sicuramente finita nel girone dei golosi, tra le grinfie di Cerbero! Stavo pensando a come il mostro mi avrebbe torturata e scuoiata mentre, seduta a un tavolino del Bar Sport di un suggestivo paese delle Langhe, assaporavo, a occhi semichiusi, la panna affogata nella cioccolata calda: delizia che quel pazzo pensiero non aveva per nulla vanificato.
Venni però distolta da queste dantesche riflessioni dal “vociante” ingresso di una signora: alta, prosperosa, del genere che, se anche fosse stata in silenzio, avrebbe dato l’idea di una prorompenza dall’allegrezza contagiosa. Invece, già dalle prime parole che pronunciò e dal tremore che la caratterizzava, l’iniziale impressione venne smentita.
Il titolare del bar le andò incontro, con aria preoccupata. «Cosa le succede, signora Adalgisa?» domandò. Evidentemente la conosceva.
La donna era paonazza in viso, si faceva aria con un fazzoletto bianco bordato di pizzo e sembrava sul punto di svenire. Mi alzai con l’intenzione di soccorrerla, pensando di farla sentire maggiormente a proprio agio vicino a una donna.
Invitai la tremolante Adalgisa a sedersi al mio tavolino… la panna e la cioccolata potevano aspettare, mi dissi senza alcun rammarico.
Le slacciai il soprabito e allontanai il colletto dalle spalle per permetterle di sentirsi più “fresca”, dal momento che continue vampate di calore la stavano assalendo: il rossore aumentava a vista d’occhio sulle sue gote.
Nel locale era calato un silenzio di tomba; l’altra decina di avventori osservava la scena senza fiatare: chi con un bicchiere di bianchetto in mano, chi con lo sguardo distolto dalle carte disposte sul tavolino.
Quando la signora parve sentirsi meglio, iniziò a parlare.
«Cose da pazzi! Tutte a me capitano, non ci volevo credere!»
Nessuno osava chiederle maggiori spiegazioni, sebbene la curiosità aleggiasse nell’aria. Era palese che ognuno dei presenti fosse ansioso di saperne di più!
«Oh, povera me, che avventura, che spavento! Sono mezza morta di paura!» Fedele alla prorompente personalità che evidentemente non riusciva a tenere a freno, all’improvviso Adalgisa si diede una scossa, si sedette dritta sulla sedia su cui era stata distesa sino a quel momento, si sfilò il soprabito e cominciò a raccontare…
«Questa mattina ho ricevuto una telefonata dal direttore della banca, che mi chiedeva di raggiungerlo per chiarire una grave inesattezza nei miei conti. Mia figlia era appena uscita e, come lei ben sa, Ercole» e così dicendo si rivolse al barista «io non guido, quindi non ho la macchina. Per raggiungere il paese dalla collina dove abito ho bisogno di un’auto, allora sono andata dalla mia vicina, non so se la conosce, la signora Bettina, perché suo marito fa il taxista e mi accompagna sempre lui in paese, quando non c’è mia figlia». Ercole, dall’alto del suo metro e novanta, sotto larghi baffi brizzolati accennò un sorriso, dedussi di assenso.
«Bettina, con l’aria stravolta, mi disse che suo marito Battista era stato ricoverato la sera prima per un sospetto infarto. Ci rimasi molto male; non sapevo cosa dire, mi sembrava inopportuno farla pensare al mio problema quando il suo era ben più serio, però lei, gentile e altruista com’è, si offerse di cercare un rimedio. Si recò nella villa poco distante da casa sua e domandò alla proprietaria se conoscesse un altro taxista. “Conosco uno che… veramente proprio un taxista non è, nel senso che non lo fa di mestiere, ma quando c’è bisogno di farsi dare un passaggio lui si presta” rispose la signora, che dopo aver cercato un numero sull’agenda mi porse un foglietto con un recapito.»
Adalgisa si concesse un lungo sospiro, prima di riprendere a parlare. «Già ebbi dei problemi a far capire a quel tizio dove fosse esattamente la mia casa, che come lei sa, Ercole, è un po’ discosta dalla strada, quasi in punta alla collina, allora gli dissi di recarsi davanti alla villetta del marito di Bettina, e dopo un quarto d’ora d’attesa vidi arrivare una macchina grande, grandissima, nera… “Sembra un carro funebre” pensai anche un po’ divertita e, dopo aver atteso che l’autista facesse una manovra - che non mi fu chiara - all’interno della vettura, mi sentii prendere sotto le ascelle, quasi sollevata di peso – per fortuna era alto e robusto – e praticamente issata su un sedile che ricordava quelli degli astronauti… mi fasciava tutta: gambe, braccia e schiena…»
Adalgisa si interruppe, facendo un cenno a Ercole. L’uomo capì al volo, si avvicinò al bancone e armeggiò con la macchina per il caffè, che poco dopo si trovò, in una tazzina, fra le mani della donna: lo sorbì con evidente soddisfazione.
«Allora…» riprese la signora dirigendo lo sguardo sugli astanti, conscia che ormai erano tutti appesi alle sue labbra. «Volete fare delle ipotesi? Delle scommesse? No? Allora vado avanti io… Dunque, dopo la prima curva l’autista – si chiamava Vigiu, così si presentò e penso sia il diminutivo di Luigi, ma non indagai oltre – si infilò in una stradina che non conoscevo, in mezzo a un bosco. Cominciai a sentirmi un po’ agitata, anche impaurita per la verità, soprattutto quando, in una piccola piazzola fra gli alberi, vidi due “signorine” con la minigomma vicino a un fuocherello acceso, e il conducente commentò: “Eccole, non perdono tempo, cominciano al mattino, quelle”… Ma dove mi porta questo? pensai, anche perché di passeggiate nei boschi qui vicino ne ho fatte tante, ma quel sentiero non lo avevo mai visto, e la strada per arrivare in paese è tutt’altra…»
Ercole le portò un bicchiere d’acqua, ma lei scosse il capo, e… «Un cordiale per favore, devo tirarmi su!» ordinò decisa, ma con un sorriso, finalmente!
Sorseggiato che ebbe il cognac, Adalgisa si guardò attorno con aria soddisfatta e ricominciò a parlare, non prima di aver fatto una lunga pausa, a mio avviso compiacendosi nel far attendere gli “spettatori” prima di arrivare al punto più avvincente della storia.
«Siete curiosi, vero? Chissà cosa dareste per sapere subito come è finito il mio viaggio…» Batté la sua mano sulla mia e strizzò l’occhio a me e a una giovane signora che, dal fondo del bar, si era via via avvicinata al nostro tavolino… Intuii che con quel gesto spiritoso intendesse inviarci un messaggio di complicità. Ricambiai la strizzatina d’occhi, condividendo il tacito proposito di lasciare un po’ sui carboni accesi il pubblico maschile. Si passò il vezzoso fazzoletto sulla fronte, aggiustò il nodo del foulard e ridiede voce al racconto…
«Nell’agitarmi sul sedile, per quanto possibile tanto era “avvolgente”, girai la testa verso la parte posteriore della macchina e mi stupii nel vedere quanto fosse largo lo spazio, e lungo… A quel punto mi venne un dubbio, un atroce dubbio, e domandai a Vigiu, timidamente e con il timore di udire una certa risposta, che cosa ci mettesse, lui, lì dietro… Il tizio scoppiò in una risata, poi disse: “Davvero non l’ha capito? Ci metto quelli che se ne vanno all’altro mondo”! UNA BARA! Credo proprio di aver urlato… Misericordia delle misericordie… mi sentii morire, era davvero un carro funebre! Per un po’ mi parve di non riuscire a respirare, poi, poco per volta, cercai di farmi coraggio. Ormai mi trovavo lì e l’unica cosa da fare era cercare di non far peggiorare la situazione, assecondare quanto stava facendo Vigiu e non fare richieste strane per non innervosirlo. Mi domandai persino se non avesse intenzione di rapirmi, di portarmi da qualche parte per nascondermi e chiedere poi un riscatto a mia figlia. All’improvviso lui ruppe il silenzio e mi domandò se avessi paura. “Paura, io?” gli risposi “ma lei non mi conosce, io non ho paura di niente e di nessuno” esclamai, ormai sull’orlo dello svenimento. Sono in pista e devo ballare, mi dissi, e tanto per distrarmi provai a scherzarci su, guardando dietro alle spalle e chiedendomi come mi sarei sentita, il giorno che fosse toccato a me. In fondo, nella peggiore delle ipotesi, se mi fosse successo qualcosa di irrimediabile mi sarei già trovata nel posto giusto. Nonostante il mio ottimismo e l’ironia, che chi mi conosce sa quanto mi abbiano aiutato in tante occasioni, quel pensiero non mi fece sentire meglio.»
Rivolse nuovamente lo sguardo sui presenti, indugiandovi; supposi a cercare, nelle loro espressioni, uno sprazzo di ammirazione per la sua combattività. Infine, continuò:
«Dopo lunghi minuti di silenzio, sempre procedendo in mezzo ai boschi, mi azzardai a chiedergli quando saremmo arrivati a destinazione. “Non impiegheremo più tanto, ma prima devo fare una tappa in un posto” brontolò. Quale posto? gli domandai. È lontano? La sua risposta fu accompagnata da un ghigno: “Credo proprio che lo conosca… è il cimitero”! Oh no, il cimitero no, riuscii soltanto a pensare senza urlarlo. Entrai nel panico, ma alla fine mi feci coraggio, tirai fuori le ultime forze che avevo e gli dissi di aver cambiato idea, perché mi era venuto in mente che prima di andare in banca dovevo incontrare un’amica al Bar Sport. Si trovava proprio sulla strada che portava al cimitero, quindi poteva lasciarmi lì. Non mi parve vero quando, dopo essere sbucati dal bosco ed esserci infilati in una stradina che finalmente conoscevo, in lontananza vidi il campanile della chiesa e subito dopo la sua insegna, Ercole. Quando quel tipaccio frenò di colpo vicino al marciapiede qui davanti, facendomi quasi catapultare dal sedile, aprii il portafoglio e vidi che c’erano soltanto cinquanta euro; lui me ne chiese venticinque, ma gli lasciai il resto. “Lo tenga pure, è per il suo disturbo, e per avermi fatto fare un’escursione interessante” gli dissi mentre mi estraeva dal sedile del carro funebre, poi cominciai a correre senza voltarmi indietro. E questo è tutto! Cosa ne dite?» domandò Adalgisa guardandoci in viso, ad uno ad uno.
Avevo una gran voglia di ridere, ma mi trattenni; mi sembrava irriguardoso farlo di fronte a una donna che aveva appena vissuto un’avventura tanto angosciante, però lei confermò l’allegra prorompenza che le avevo attribuito alla prima occhiata e mi batté una mano sulla spalla, esclamando: «Rida pure, mia cara, ne ha ben donde, anche perché tutto è finito bene e adesso ne avrà da raccontare a marito, figli e amiche per farli divertire!»
L’altra donna presente, dall’aspetto distinto, l’atteggiamento discreto ed educato, ebbe un attimo di esitazione, poi sospirò come per farsi coraggio e, con un mezzo sorriso, esclamò: «A proposito di strani episodi legati a bare, o a defunti, tanto per “tirarci su”, se avete tempo e voglia di ascoltarmi ne avrei uno proprio curioso da raccontare…
E curioso lo era davvero, ma ne scriverò un’altra volta…
Luciana Navone Nosari
Pubblicato il 2022-01-12 18:11:33.
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