Una battaglia casalinga
È purtroppo di grande e tragica attualità, di questi tempi, la parola guerra. L’ultima cosa che vorrei è mancare di rispetto alle terribili sofferenze e alle vittime innocenti che sta mietendo la guerra in corso colpendo, con il popolo Ucraino, tutto il mondo che brama la PACE. Spero quindi di non offendere la sensibilità di nessuno, offrendo un po’ di leggerezza nel descrivere una battaglia da me intrapresa contro un elettrodomestico che pareva volermi dichiarare guerra.
Da tempo sentivo elogiare da amiche, conoscenti e TV un “aspirapolvere senza fili” dalle straordinarie prestazioni, ma stentavo a credere che potesse essere davvero strepitoso come veniva descritto. In casa eravamo già arrivati a stipare negli anfratti offerti da bagno, anticamera, ripostiglio, cucina ben cinque aspirapolvere, ma se erano leggeri aspiravano poco, se bassi mi costringevano a ricorrere al fisioterapista per rimettere in sesto la colonna vertebrale, se pesanti rischiavo il colpo della strega, inoltre quasi sempre si incastravano sotto i mobili, senza contare che nel bel mezzo dell’operazione la spina si staccava dalla presa e il filo si attorcigliava fra le spazzole.
Il “campione” magnificato da più parti aveva un costo decisamente elevato, ma dopo lunghi studi, tentennamenti, ripensamenti, decisioni prese e poi ritrattate mio marito ed io decidemmo di recarci in un negozio di elettrodomestici soltanto “per farci un’idea”. Accolti da una gentile addetta all’illustrazione del “mostro che raccatta tutto”, l’idea ce la facemmo in fretta e, convinti da quella stessa signora che lo usava da oltre dieci anni sostenendo che “non temeva paragoni”, uscimmo reggendo a quattro mani lo scatolone contenente l’oggetto che “vinceva qualunque sfida” e il conto corrente pesantemente alleggerito.
Con la dimostrazione offertaci poco prima il super-super-super aspirapolvere aveva risucchiato tutto quanto gli si era presentato sotto la spazzola e confesso che fremevo dalla voglia di vederlo in azione.
Saltammo il pranzo - il che non fa mai male e tanto bene alla linea – e ci accingemmo a leggere le istruzioni per assemblare i vari pezzi.
Per trovare quelle in lingua italiana dovemmo sfogliare pagine su pagine in cui si spiegava il tutto in idiomi sconosciuti persino appartenenti a Paesi mai sentiti nominare, ma finalmente, verso la fine, comparve il nostro. Peccato che i caratteri fossero talmente piccoli che dovemmo andare alla ricerca - spasmodica – di una lente, con tanto di accuse reciproche del tipo: «Dove l’hai messa, si può sapere?» «L’ultima volta l’hai usata tu…» «Quando mai? Non ne ho bisogno, io» «Difatti prendi sempre lanterne per lucciole perché non vuoi inforcare gli occhiali… già, non ricordi mai dove li hai lasciati…» Dopo un’ora di tentativi - finanche nel frigorifero -, finalmente spuntò l’agognato oggetto ingranditore. Credete che a quel punto riuscimmo a leggere le istruzioni? Sì, a leggerle sì, ma a capirle…? Si usavano termini astrusi, quindi ricorremmo a Google per decifrarne il significato, finché non arrivammo alle “immagini illustrative” con tanto di figure numerate: 1, 2, 3, 4, 5… sino a 18, corredate da freccette che indicavano “alto”, “basso”, “lato destro”, “lato sinistro”, “orizzontale”, “verticale”… che scatenarono i dolori cervicali procurando nausea e mal di testa a entrambi.
Il montaggio fu completato all’ora della merenda, se ancora avessimo avuto l’età per farla, ma era arrivato il momento di posizionare sul muro il sostegno che avrebbe retto il “mostro sacro”. Dove piazzarlo, però? ci domandammo, e iniziammo a girare per casa per trovare la collocazione più adatta e comoda, dovendo ovviamente scartare le zone in cui erano già fissati i precedenti aspirapolvere. Dopo vari tentativi e ispezioni, credemmo di individuare il posto che faceva per “lui”: un angolo della cucina che non si vedeva entrando, anche perché una grande poltrona l’avrebbe nascosto praticamente del tutto. Il “colpo d’occhio” era salvo!
Si trattava allora di scegliere - senza sbagliare! - l’altezza ottimale del piazzamento e dopo svariate prove prendemmo la decisione finale. Trovata la matita per segnare sulla parete l’esatto punto su cui agire con il trapano per infilare le viti, al primo tentativo la mina si spezzò: era troppo morbida, pertanto ci apprestammo a selezionare la matita ideale, ma quando la reperimmo era senza punta e procedemmo alla ricerca di un temperino. Altri battibecchi, altri rimbrotti verso l’uno o l’altra che lascia gli oggetti in giro o li ripone nei posti più impensabili, ma finalmente i due punti sul muro furono segnati. «Sei sicura che vada bene così? Non venirmi poi a dire che è troppo in alto o troppo in basso… Allora procedo col trapano?» chiese mio marito e io alzai gli occhi al cielo tappandomi la bocca; non era il momento di polemizzare perché avrei voluto fare la prova definitiva prima di andare a dormire. Già, la prova definitiva… Ipotizzai di poter inaugurare il mostro sacro anche senza inserirlo nella sede murale. Detto e fatto… Persino un po’ emozionata – con quel che era costato dovevo trattarlo bene e non farmelo sfuggire di mano – lo agguantai, drizzai la schiena e azionai il pulsante… Partì come un “Freccia rossa” e risucchiò le briciole che non vedevo ma che evidentemente esistevano perché udii il classico rumore di quando viene aspirato qualcosa. Si spense subito dopo ma già mi ero stupita che fosse rimasto acceso qualche secondo, necessitando di essere messo in carica. Bene, si poteva procedere con i fori. L’azienda produttrice forniva tutto il necessario, anche le viti… Silenzio, concentrazione e via… il pavimento tremò per le vibrazioni, ma il primo buco andò a buon fine; si doveva proseguire con il secondo.
«Passami la vite per favore» chiese mio marito. «La vite? Non la vedo…» «Eppure c’era, ne sono certo, l’ho messa sul tavolo quando l’ho tolta dall’involucro» ‘Già, quello sigillato come se avesse contenuto del materiale tossico’ pensai. Sospendemmo l’operazione e iniziammo a cercare la vite scomparsa: distesi sul pavimento, sotto la cucina a gas e gli altri mobili, dietro la tenda, sul lavandino. «Guarda che non ha le ali» sostenne mio marito «se non è sul tavolo deve essere sul pavimento!» «Sul pavimento!» urlai, perché mi era venuto un dubbio atroce… «L’aspirapolvere!» ripetei più volte. «Ma che dici? Cosa c’entra l’aspirapolvere?» «Quando l’ho provato ho sentito un rumore un po’ più forte di quando si aspirano le briciole…» «Vuoi dire che potrebbe… essere finita lì? Non preoccuparti, se fosse così la recupereremmo in un attimo!» concluse l’ottimista personificato.
L’attimo divenne un’ora, perché la gentile dimostratrice ci aveva insegnato come liberare, o meglio aprire il contenitore per svuotarlo - l’apertura era addirittura automatica -, ma il problema era “come” aprirlo… Cercato un pulsante, individuatone un altro, guardammo le istruzioni ma quell’operazione pareva non essere contemplata nel manuale, oppure non fummo in grado di rintracciarla. Telefonai alle amiche che lo usavano e magnificavano da anni, ma a montare il tutto era stato un loro conoscente da tempo trasferitosi in Cina - dove a quell’ora era notte -, quindi pensammo di farci inviare delle fotografie con un loro dito sul pulsante che premevano quando dovevano svuotare il raccoglibriciole, che risultò ahimè irreperibile sul nostro modello “ultimo tipo”, purtroppo diverso dal loro. Eppure la vite si vedeva, nel contenitore trasparente, era lì a disposizione… Prova e riprova, gira, scuoti, schiaccia leve e interruttori finalmente arrivò nelle nostre mani. «Tienila ben salda» gli raccomandai. «Magari la fisso sul dito con l’Attack, così non la perdiamo più» ironizzò il mio consorte.
Quando riprovai ad azionarlo, il mostriciattolo non partì più… Altra telefonata alle amiche, altre fotografie inviate, altro dilemma, finché una nipote “nativa digitale” invitata a cena (che avrebbe consumato più avanti nel tempo) scoprì che uno spinotto doveva essere collegato a un filo non sistemato nella giusta sede.
All’ora in cui solitamente si dovrebbe andare a dormire e che per noi sarebbe diventata l’ora di cena - ancora da preparare – il “corpo” dell’aspirapolvere venne finalmente infilato nella sede in cui si sarebbe ricaricato e, spronata da mio marito a “fare la prima mossa” provai a sfilarlo ma il tentativo fallì; quella volta mi venne però in soccorso la figura illustrativa, sorprendentemente esaustiva. Tuttavia… Non avevamo considerato che per estrarlo occorreva fare un movimento in diagonale e la parte terminale cozzava contro la poltrona…
In conclusione, ogni volta che si dovrà infilare o estrarre il mostro sacro sarà indispensabile spostare all’indietro la poltrona e, qualora dovessimo udire dei passi provenienti dall’altra stanza, dovremmo avvisare chi sta arrivando di stare attento a non sbattere le ginocchia contro la spalliera, che è robusta, molto robusta e in legno massello, pertanto il malcapitato potrebbe finire al Pronto Soccorso…
Luciana Navone Nosari
Da «Ai Venti Lettori» di marzo 2022
Pubblicato il 2022-03-24 19:38:23.
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