La nonna e la luna
La fioca luce della luna illuminava appena la ragazza che, seduta sull'erba del giardino, stava osservando le foglie del salice piangente rese a tratti argentee dai riflessi lunari. Ne seguì i movimenti, riandando col pensiero alle merende gustate all'ombra di quell'albero, lei e i cugini in trepidante attesa delle prelibatezze create dalla nonna.
Il suo sguardo spaziò sulle rose a malapena individuabili, nei colori impalliditi dalla notte. Con costanza cercò nel buio l'azzurro delle ortensie, il violetto delle petunie, il verde dei grappoli dell'uva fragola chiara, gli spruzzi giallognoli dell'erba. Quell'erba che il nonno spianava con le mani prima del suo passaggio, chinato sulle gambe un po' tremolanti per appiattirla affinché non vi inciampasse. Tutti lo canzonavano per quel suo gesto, tanto assurdo e inutile agli occhi altrui, ma lui temeva che la nipotina potesse perdere l'equilibrio tra i fili d'erba irregolari.
Non se la sentì di rivolgere lo sguardo al cielo, quindi indugiò, strizzando gli occhi per mettere a fuoco... la fantasia, e immaginare il tavolino delle merende su cui la nonna, quando ritirava la tovaglia in bisso dai festoni color oro, posava un panno verde per dare il via alle partite a carte. Ricordò le volte in cui giocavano "all'asino" e, per evitare che il cuginetto più piccolo che perdeva sempre piangesse per la delusione, la nonna cambiava nome al gioco, chiamandolo "dell'angelo". In tal modo, chi perdeva in realtà vinceva, fregiandosi del titolo di "angelo".
<<Sono diventato un angelo, ho vinto>> esultava allora il cugino perdente, e sul suo viso compariva un sorriso al posto delle lacrime. Nessun asino all'orizzonte, quindi, a guastare la gioia di restare insieme.
Si notavano appena i grappoli d'uva, tra le foglie della minuscola vite appoggiata al muro di pietra, mentre i bianchi sassi che attorniavano i gradini di fronte all'orto spiccavano, algidi e fermi, sul grigiore della scala.
Il canto dei grilli la fece trasalire, inaspettato e improvviso. Giungeva dall'alto, lontano dal kiwi e dalla bouganville. Lievi refoli mossero i gigli chinati sulle violacciocche, avvolgendola con un profumo inebriante. Inebriante come i suoi ricordi più struggenti, eppure tergiversava a coglierli. Lo avrebbe fatto se soltanto avesse trovato la forza di guardare più su, oltre il terrazzo, oltre il tetto, oltre il profilo dei monti. Era tuttavia consapevole, per farli schiudere, di dover acquisire un po' di coraggio. Lo cercò, lo implorò, e infine lo colse da una foglia di vite che, staccatasi dal ramo, le sfiorò dapprima i capelli per poi involarsi verso il balcone. Istintivamente alzò gli occhi per osservarne il volo e fu in quel momento che "la" vide. Finalmente la agguantò con lo sguardo, che non distolse più. Le parlò della nonna, riportandola alla sera in cui lei, nel lettone, accovacciata fra le sue braccia ad ascoltarla leggere una fiaba, era scoppiata a piangere.
<<Perché piangi, tesoro, stai male?>> le aveva chiesto.
<<No nonna, non sto male, ma sono tanto triste>> aveva risposto.
<<È successo qualcosa a scuola? Qualcuno ti ha fatto arrabbiare? Ti ha deluso?>>
Lei aveva sospirato più volte, perché non sapeva come dirle "quella cosa" che le pesava sul cuore. <<Veramente sto pensando... sto pensando... a quando tu... a quando tu...>>
La nonna aveva capito, e aveva finito la frase per lei. <<Vuoi dire che pensi a quando non ci sarò più?>> aveva domandato. Lei era scoppiata in singhiozzi che, sempre più forti, le scuotevano il petto. Era infine riuscita a dire: <<Sì... come farò senza di te?>>
La nonna l'aveva stretta forte a sé. Ricordava la sua voce un poco incrinata, dopo aver tossicchiato, mentre le accarezzava una guancia sussurrandole fra i capelli: <<Adesso ti insegno a non perdermi, a ritrovarmi sempre, quando arriverà quel momento...>>
Le aveva poi baciato la fronte, prima di continuare: <<Hai presente la luna? La guardiamo sempre insieme. Ricordi come facemmo quando andasti in Giappone ed eri triste perché non ci saremmo viste per tanto tempo? Ti avevo detto che ogni sera alle 9 tutte due ci saremmo messe a osservarla e in quei momenti, sapendo che stavamo guardando la stessa luna, sarebbe stato come se fossimo state insieme.>>
<<Si >> aveva risposto lei <<e la mamma quando mi cercava e non mi trovava sapeva che stavo guardando la luna con te. Mi diceva di smetterla, di venire via, ma io rimanevo lì fino all'ora di andare a dormire, per restare più tempo con la nonna.>>
Adesso la ragazza sapeva che, a causa dei fusi orari, all'epoca non l'avevano guardata nello stesso momento, però...
<<Nonna cara, i fusi non esistono dove ti trovi tu ora, nel tuo Altrove, allora voglio pensare che tu possa guardare la luna insieme a me, ogni volta che la guarderò io. Il tempo non ci divide adesso, non ci dividerà più. Quella sera mi dicesti anche che tu saresti stata soltanto trasparente, ma sempre presente.>>
Continuò a fissare la luce della luna, quasi a volerla trapassare. E parlò di nuovo.
<<Eccomi qua, nonna. Questa mattina mi hai lasciata con un sorriso, stringendomi la mano finché le tue dita non si sono sfilate dalle mie. E io voglio credere a te, che non mi hai mai mentito. Cercherò sempre la luna per ritrovarti e parlarti, e ti sentirò al di là della tua trasparenza.>>
I suoi occhi si erano ormai abituati al buio, ora rischiarato finanche dalle stelle. Girò lo sguardo verso il salice, sotto le cui fronde vide volteggiare, attorno al vecchio pozzo, l'intermittenza di tre lucciole.
<<Saranno scese da lassù, nonna? Non è più stagione per loro, me le hai forse mandate tu?>> domandò riandando con gli occhi alla luna. E le sorrise.
Luciana Navone Nosari
Pubblicato il 2023-01-17 18:31:44.
Questa pubblicazione è stata richiesta 209725 volte.