La mia Balmoral
C’era un luogo – Balmoral - che la regina Elisabetta amava molto; si dice vi si rifugiasse alla ricerca di quella serenità di mente e di spirito che non trovava nei Palazzi londinesi, dati gli impegni che colà doveva assolvere.
La residenza, che si trova in Scozia, occupa una superficie di 20000 ettari costituiti, oltre che dall’imponente castello, da boschi, terreni agricoli, allevamenti di bovini, brughiere e ampie aree verdi impreziosite dai rari pini della Caledonia. La regina prediligeva recarsi presso gli spumeggianti torrenti che raggiungeva sia in auto sia a cavallo, percorrendo le vaste distese in compagnia degli amati cani che non la lasciavano, e non lasciava, mai. Non era neppure inconsueto che si imbattesse nei cervi rossi - razza a rischio estinzione - e nella numerosa fauna, tutti accuratamente salvaguardati. I domestici, i pastori, i guardiacaccia, gli impiegati, gli operai, i giardinieri erano sempre pronti a riceverla e a esaudire i suoi desideri.
Mi è facile immaginare la gioia, il senso di appagamento e di distensione provati da Elisabetta II quando vi si recava, perché anch’io ho la mia piccola, minuscola Balmoral, che mi dona delle emozioni, delle sensazioni di pace e di serenità che non trovo in alcun altro luogo: la Borgata Saretto di Villar Perosa. Qui mi accoglie la casa che per anni ho desiderato e cercato. La sognavo con una “storia” – quindi risalente almeno al secolo precedente -, con tanti gradini (ero molto più giovane, e inconsapevole che con il passare degli anni li avrei apprezzati meno), i muri storti, un giardino con molte rose e un prato. Dopo aver visitato numerose dimore deludenti, non appena l’ho vista me ne sono innamorata. L’avevo trovata! Al primo impatto, forse ancor più della disposizione delle stanze, dei tanti gradini e dei muri storti (che avevano fatto inorridire i muratori, quando avevo chiesto loro di mantenerli così com’erano), mi avevano incantata le innumerevoli piante di rose che gremivano le aiuole, il giardino, ogni angolo del cortile.
Miriadi di corolle sovrastavano ogni cosa, insieme al tappeto di petali che sfumava i rossi con i gialli, i bianchi, gli aranci. Il profumo che emanavano mi aveva seguito sino al piccolo prato, sul cui fondo avremmo poi fatto installare, insieme a due sofore “piangenti”, un pozzo, niveo come la panchina ombreggiata dalla vite di uva fragola bianca e dalla pianta di kiwi.
Il mio desiderio di avere una casa con tanti gradini è stato esaudito persino nel giardino e, nella nicchia che dà accesso alla scala, ho subito individuato il largo scalino su cui mi sarei seduta e appartata per farne il mio “angolo del silenzio”. Silenzio che mi accoglie la notte, quando mi siedo su quell’ampia pietra per ascoltare il solo rumore che lo spezza: il frinire dei grilli. Ė da lì che fisso gli occhi al cielo per osservare le varie fasi della luna, e mi accontento di trovarvi soltanto le stelle quando per sette giorni il nostro satellite le rende orfane, però è gioia grande la sera in cui appare la minuscola falce ad annunciarmi che, se avrò pazienza, arriverà il momento in cui potrò ammirarne la piena luce. L’attesa del suo apparire mi fa vivere le stesse sensazioni che provo quando un mio desiderio non è ancora stato appagato e, nel momento in cui diviene realtà, mi accorgo di aver gioito ben più nell’immaginarlo e aspettarlo che nel riceverlo.
Ė sempre su quel gradino umido di pioggia che, dopo un temporale, mi piace sentirmi sfiorare dalla caduta dei petali della bignonia grevi di acqua, e osservare le code di fuggiasche lucertole agitarsi fra le crepe del muro, mentre frenetici battiti d’ali annunciano la corsa ai nidi delle cinciallegre. In quei frangenti non stacco gli occhi dai monti, luccicanti nel rosa del pigro tramonto di un sole che, appena riapparso, già tende all’ultimo atto del giorno: andare a dormire dietro i crinali. Intanto, l’effervescente canto del vicino ruscello si accorda con il silenzio che gradualmente sfuma.
Chissà se la regina Elisabetta fra le brughiere, i boschi, i giardini di quell’angolo di Scozia ha provato, come me in tali circostanze, quel frullio del cuore scrigno di un guizzo di felicità. Se così è stato, me ne rallegro per lei.
Ė indubbio che nella borgata le estati siano meno calde di quelle cittadine, sebbene non manchino giornate di intensa calura, ed è allora che gli “storti”, spessi muri entrano in gioco elargendo, insieme all’ombra del kiwi e alle sinuose fronde delle sofore, l’agognata frescura...
Al di là delle gioie procurate dalle bellezze e dalla purezza della natura, se la sovrana godeva di una numerosissima schiera di sudditi pronti a soddisfare ogni sua esigenza, anche la mia piccola Balmoral mi offre, in virtù della solidarietà e della generosità degli amici borghigiani, una collaborazione e un calore impagabili. Ci sono situazioni in cui il “passaparola” funziona almeno quanto un richiamo con il corno per un animale perduto, un suono di campane, un allarme partito dal castello. Rammento il giorno in cui non trovavo più la mia gattina; è stato sufficiente, alla vicina, vedermi preoccupata per allertare l’intera borgata; un attimo dopo si sono prodigati tutti a dar corso alle ricerche, chi a risalire a piedi i prati, gli orti e i boschi circostanti, chi in bicicletta o in motorino a percorrere le strade limitrofe chiamando a gran voce il nome della scomparsa, finché non l’ho scovata dentro un cassetto della camera da letto.
E che dire, poi, dei pomodori, degli zucchini, delle carote (oh, il profumo delle carote appena raccolte nell’orto, dal riscoperto sapore dell’infanzia!), dell’insalata, tutti “a chilometri zero” e privi di conservanti o pesticidi, e dei funghi che, dopo un discreto bussare alla porta, mi vedo porgere in un cesto su un tappeto di foglie di felce.
Se si verifica un problema all’impianto elettrico o a quello televisivo, basta far correre la voce che subito qualche borghigiano esperto in materia accorre in soccorso, più veloce delle auto dalle luci rosse con le sirene spiegate degli addetti al castello.
Sono certa che esistano tante “gemelle” di Balmoral in giro per il mondo, siano esse piccole o grandi, fra i monti, in campagna o al mare, capaci di attenuare guai e malumori e di attizzare guizzi di gioia e di felicità. Non sono difatti, dei luoghi, né le estensioni né le ubicazioni a fare la differenza e a essere importanti, bensì le sensazioni e le emozioni che essi suscitano in noi.
Luciana Navone Nosari
Pubblicato il 2023-01-17 18:37:27.
Questa pubblicazione è stata richiesta 209725 volte.